Il film emozionante del regista ungherese György Pálfi assume il punto di vista di una gallina che fugge da un allevamento industriale per riflettere sull’umanità.
Il trionfo del dramma Hen del regista ungherese György Pálfi non sta solo nel fatto che riesce a raccontare una storia avvincente interamente dal punto di vista dell’uccello protagonista, ma anche nel conferire all’animale una tale profondità di emozioni ed espressioni che il pubblico crede davvero di sapere cosa sta pensando. Si tratta di un’opera cinematografica impressionante, che utilizza tutti i suoi elementi artistici per conferire un senso di umanità a questa storia in lingua greca di una gallina che fugge da un allevamento industriale in Grecia e trova rifugio in un ristorante rurale fatiscente, solo per diventare testimone inconsapevole delle tragedie del mondo reale che si svolgono intorno a lei.
Traccia un parallelo tra il maltrattamento degli animali da parte dell’umanità e quello che gli esseri umani riservano ai propri simili.
Come EO di Jerzy Skolimowski e il documentario Cow di Andrea Arnold, Hen utilizza efficacemente il suo protagonista animale per far luce su questioni umane più ampie. Dopo la prima nella sezione Platform di Toronto, dove ha ottenuto una menzione d’onore, è passato a San Sebastian e Amburgo, e sarà proiettato anche al concorso di Tokyo. Potrebbe suscitare l’interesse dei distributori di film d’essai, e il pubblico dovrebbe apprezzare il suo approccio sensibile e la sua protagonista affascinante e coraggiosa.
O forse dovremmo dire protagonisti, dato che Pálfi (Taxidermia, His Master’s Voice) ha lavorato con otto galline durante la produzione, determinato a evitare l’uso di animatronics o CGI e a girare invece con animali reali in un ambiente naturale. Addestrate da Árpád Halász, ogni gallina era in grado di girare per circa 30 minuti alla volta; un processo meticoloso che ha richiesto a Pálfi di comprendere e sfruttare i punti di forza di ogni animale: alcuni, dice, erano esperti nel sbattere le ali, altri erano particolarmente bravi a beccare. Anche il montaggio impeccabile di Lehmhényi Réka ha giocato un ruolo cruciale.
Questa pazienza e cura hanno dato i loro frutti. Il viaggio di questa gallina è avvincente fin dall’inizio, poiché assistiamo alla sua nascita (in un primo piano estremo della cloaca pulsante di sua madre) in un enorme allevamento avicolo che sembra non curarsi affatto del benessere degli animali: alcune sequenze sono difficili da guardare. La gallina si distingue immediatamente come un raro uccello completamente nero e quando, diversi mesi dopo, una serie di eventi la porta a fuggire dall’allevamento, tifiamo per lei affinché trovi un rifugio adeguato. Dopo un viaggio breve ma movimentato, durante il quale viene inseguita da una volpe e finisce tra le fauci di un cane, la gallina approda in un ristorante costiero fatiscente.
Per tutto il film, Pálfi mantiene l’attenzione concentrata sull’uccello, con la telecamera di Giorgos Karvelas che raschia il terreno seguendola mentre viene rinchiusa nel pollaio del ristorante. (Una sequenza brillante in cui la nostra gallina attira l’attenzione del gallo magro, accompagnata dalle note della canzone d’amore greca Episimi Agapimeni di Grigoris Mpithikotsis, è uno dei tanti usi ispirati della musica; un altro è un montaggio di scene di deposizione delle uova accompagnato dalle note del Bolero di Ravel eseguito dai The Swingle Singers). E poiché la telecamera è così intensamente concentrata sulla gallina, ci vuole un po’ prima che il mondo che la circonda entri a fuoco: l’arrivo di rifugiati disperati, il traffico di esseri umani, la violenza insensata.
Con Hen, Pálfi traccia un parallelo evidente tra il maltrattamento degli animali e quello degli esseri umani da parte dell’uomo, criticando un mondo in cui gli esseri viventi sono trattati come semplici merci da sfruttare. Ma lo fa con leggerezza e con un’abile commedia dark che evita facili polemiche. La gallina è, ovviamente, guidata interamente dall’istinto – nutrirsi, proteggere i suoi piccoli, sopravvivere – e non ha alcuna comprensione degli eventi che accadono intorno a lei. Tuttavia, grazie alla combinazione di fotografia, montaggio e musica che infondono a questa gallina emozioni e personalità, lei diventa una sorta di coro greco silenzioso, la cui assoluta innocenza mette in risalto l’orrore di ciò che sta accadendo sullo sfondo.