Immaginate di essere tra i più ricchi di Spagna. La terza guerra mondiale sta per esplodere, ma voi avete un asso nella manica: il Kimera Underground Park, un bunker di lusso a 800 metri sottoterra, progettato per resistere a qualsiasi catastrofe. Suite eleganti, spa, ogni comfort immaginabile.
Siete al sicuro. O almeno, questo è ciò che credete. Perché mentre fuori il mondo brucia, dentro quella gabbia dorata qualcuno vi sta osservando. Qualcuno che conosce ogni vostro segreto. Qualcuno che ha orchestrato tutto questo per un solo scopo: distruggervi.
Benvenuti ne Il rifugio atomico, la nuova serie firmata da Álex Pina ed Esther Martínez Lobato, gli architetti dell’universo narrativo de La Casa di Carta, Berlino e Sky Rojo. Se pensavate che il colpo alla Zecca di Stato fosse audace, preparatevi a qualcosa di ancora più ambizioso: un piano criminale che non punta ai soldi, ma alle menti e alle anime dei più potenti del paese. Un thriller claustrofobico dove la vera rapina non avviene in una banca, ma nella psiche umana.
Al centro di questa macchina perfetta c’è Minerva, interpretata da Miren Ibarguren, una donna che ha fatto della menzogna la sua filosofia di vita. “La verità è sopravvalutata”, è il suo mantra. Insieme al fratello Mirzo, mente brillante ma tormentata, Minerva mette in scena nientemeno che l’apocalissi. Niente bombe vere, niente radiazioni reali. Solo una simulazione così perfetta da sembrare autentica, costruita attraverso Roxan, un’intelligenza artificiale onnisciente che controlla ogni angolo del bunker attraverso telecamere nascoste e microfoni invisibili. Un Grande Fratello che non si limita a guardare: registra, analizza, prevede.
Gli ospiti intrappolati nel rifugio sono un campionario dell’alta società spagnola. C’è Guillermo Falcom, lo squalo della finanza interpretato da Joaquín Furriel, abituato a divorare avversari nel mondo degli affari. C’è Frida, ricca mantenuta che vive di champagne e superficialità, affiancata da sua madre Victoria. Ci sono fidanzate a tempo, mariti ingenui, imprenditori spietati. E poi c’è Max Varela, ultimo arrivato, appena uscito dal carcere per omicidio colposo. È lui l’unico che sente puzza di bruciato, l’unico che inizia a notare le crepe in quella realtà troppo perfetta per essere vera.
Otto episodi diretti da Jesús Colmenar, David Barrocal e Jose Manuel Cravioto trasformano il bunker in un palcoscenico dove si consuma un dramma psicologico dalla tensione insostenibile. Nella convinzione che il mondo esterno sia ormai cenere, i protagonisti liberano tutto ciò che hanno represso per una vita. Segreti inconfessabili emergono come scheletri da armadi sigillati. Relazioni impossibili sbocciano nell’oscurità. La vernice della rispettabilità si scrosta, rivelando gli istinti primordiali che si nascondono sotto la patina della civiltà. Chi sei davvero quando pensi che non ci sia più nessuno a giudicarti? Quando credi che le regole sociali siano state spazzate via insieme al resto del mondo?
Il rifugio atomico è una radiografia spietata del potere e dei suoi meccanismi. Pina e Martínez Lobato costruiscono una critica feroce al sistema capitalista, ma lo fanno con l’adrenalina di un thriller e il ritmo serrato che ha reso celebri le loro precedenti creazioni. Il bunker diventa metafora perfetta: questi miliardari che si credono invulnerabili, che pensano di poter comprare anche la salvezza dall’apocalisse, scoprono sulla propria pelle di essere vulnerabili come chiunque altro. Anzi, forse più vulnerabili, perché hanno più da perdere.
La serie solleva interrogativi inquietanti sulla società contemporanea. Cosa succederebbe se qualcuno decidesse di sovvertire il sistema dall’interno? Se utilizzasse la tecnologia, la stessa che promettiamo ci renderà liberi, per imprigionarci? Roxan, l’intelligenza artificiale che sorveglia gli ospiti h24, non è solo un espediente narrativo: è un monito sui rischi della cybersicurezza, sulla facilità con cui la nostra privacy può essere violata, su come le nostre vite possano essere manipolate da algoritmi invisibili.
Visivamente, Il rifugio atomico è un’esperienza straniante. Gli ambienti bui del bunker, rischiarati solo da fiochi led e dalle luci fredde degli schermi, creano un’atmosfera sinistra che contrasta violentemente con il lusso degli arredi. È un penitenziario mascherato da resort a cinque stelle. Le musiche conturbanti accompagnano ogni rivelazione, ogni colpo di scena, mantenendo lo spettatore in uno stato di perenne ansia. La claustrofobia è palpabile, quasi fisica. Viene voglia di prendere aria, ma non si può staccare lo sguardo.
Quello che rende questa serie particolarmente efficace è la sua capacità di far riflettere senza mai rallentare il ritmo. Ogni episodio è un tassello di un mosaico che si compone lentamente, rivelando un quadro distopico dai toni apocalittici. I sospetti si accumulano, i tradimenti si moltiplicano, le confessioni si fanno sempre più strazianti. E mentre Max cerca di smontare il piano di Minerva con un contropiano tutto suo, lo spettatore si chiede: in un mondo dove la verità è davvero sopravvalutata, cosa resta dell’umanità?
Il rifugio atomico è una grande truffa all’umanità, come viene definita nella serie stessa. Ma è anche uno specchio impietoso in cui riconoscere le paure del nostro tempo: la minaccia nucleare che torna a farsi concreta, la fragilità della nostra sicurezza digitale, il divario sempre più incolmabile tra ricchi e poveri, la sensazione di essere costantemente osservati. Otto episodi che vi faranno sprofondare in un incubo sotterraneo dal quale sarà difficile riemergere, portando con voi la consapevolezza scomoda che forse, in fondo, quella gabbia dorata non è poi così diversa dal mondo in cui viviamo ogni giorno.