C’è un momento nella carriera di ogni grande maestro in cui il silenzio diplomatico cede il passo alla verità nuda e cruda.

Per Ridley Scott, quel momento è arrivato sul palco del BFI Southbank di Londra, dove il regista britannico ha pronunciato parole che difficilmente verranno dimenticate: “Siamo circondati dalla mediocrità”. Non un’osservazione en passant, non una critica velata. Una sentenza.

Il creatore di capolavori assoluti come Blade Runner e Alien non ha usato giri di parole per descrivere lo stato del cinema contemporaneo. “La quantità di film realizzati sono letteralmente milioni… gran parte di essi sono merda”, ha dichiarato con quella franchezza che solo chi ha plasmato l’immaginario collettivo di intere generazioni può permettersi. Ma è proprio questa schiettezza a rendere le sue parole così preziose: non sono il lamento di un nostalgico, ma l’analisi lucida di chi conosce ogni segreto dell’arte cinematografica.

La critica di Scott affonda il bisturi in una piaga aperta dell’industria contemporanea: l’abuso degli effetti digitali come stampella creativa. “Penso anche che molti film siano salvati e resi più costosi dagli effetti digitali, poiché quello che hanno su carta non è una gran cosa”, ha affermato il regista. Un’osservazione che richiama alla mente la celebre risposta di Alfred Hitchcock a chi gli chiedeva cosa servisse per fare un buon film: “Copione, copione, copione”. La sostanza prima della forma, la storia prima della tecnologia.

Un tempo la mediocritas latina era considerata una virtù, l’equilibrio perfetto tra gli estremi. Ma nell’arte, come Scott implicitamente ricorda, la mediocrità non è equilibrio: è l’assenza di visione, la rinuncia all’eccellenza, la resa alla formula già vista. E quando il giornalista gli ha chiesto quali film ami riguardare più spesso, la risposta del regista ha spiazzato tutti con la sua disarmante onestà.

Attualmente trovo troppa mediocrità in giro, così ho iniziato — è una cosa orribile — a rivedere i miei stessi film, e devo dire che sono proprio belli! E non sono per niente invecchiati”, ha confessato Scott. Una dichiarazione che potrebbe sembrare narcisistica, ma che in realtà rivela qualcosa di più profondo: la consapevolezza di aver creato opere che resistono al tempo, che mantengono intatta la loro forza visionaria.

Il regista ha raccontato di aver rivisto recentemente Black Hawk Down del 2001, chiedendosi con genuina sorpresa: “Come diavolo ho fatto a farlo?”. Non è autoelogio fine a se stesso, ma il riconoscimento di un lavoro artigianale portato ai massimi livelli, una maestria che oggi fatica a trovare eredi degni di questo nome.

Eppure, tra le ceneri della critica feroce, Scott lascia spazio a un filo di speranza. “Penso che ogni tanto ne capiterà uno buono, ed è un sollievo sapere che c’è qualcuno là fuori che sta facendo un bel film”, ha osservato. Una concessione minima, forse, ma significativa: il cinema non è morto, semplicemente le opere memorabili sono diventate rare gemme in un mare di produzioni dimenticate prima ancora di uscire dalle sale.

E mentre molti suoi colleghi a 87 anni penserebbero al ritiro, Scott definisce questa possibilità “impossibile”. La sua agenda conferma questa vitalità straordinaria: è già in produzione The Dog Stars, un film fantascientifico post-apocalittico con Jacob Elordi, e il regista ha confermato di aver iniziato a scrivere il terzo capitolo della saga del Gladiatore, dopo il successo di Gladiator II uscito nel 2024.

Dopo House of Gucci del 2021 e Napoleon del 2023, Scott continua a lavorare con il ritmo inesausto di chi sa che ogni film potrebbe essere l’ultimo, e proprio per questo non può permettersi di scendere a compromessi. Le sue dichiarazioni contro il cinema contemporaneo non sono dunque il rancore di chi è stato superato dai tempi, ma l’atto d’accusa di chi continua a combattere in prima linea per un’idea di cinema che non accetta scorciatoie.

In un’epoca in cui l’industria cinematografica produce più contenuti che mai, le parole di Ridley Scott suonano come un campanello d’allarme necessario. La quantità non garantisce la qualità, la tecnologia non sostituisce la visione, e i milioni di film prodotti ogni anno non compensano la mancanza di quell’artigianato narrativo che trasforma una storia in un’esperienza indimenticabile. Forse è proprio questo il vero messaggio del maestro britannico: il cinema merita di meglio della mediocrità, e chi lo pratica ha il dovere di puntare sempre all’eccellenza, senza alibi e senza scuse.

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