Immaginate Juliette Binoche, l’attrice premio Oscar per “Il paziente inglese”, al culmine della sua carriera, che decide di abbandonare il set per un anno e mezzo. Non per riposarsi, ma per immergersi in un mondo sconosciuto e spietato: la danza contemporanea.
Questo è il punto di partenza di “In-I In Motion”, il suo debutto alla regia, presentato al San Sebastian Film Festival, un documentario che svela il dietro le quinte di un’esperienza al limite, un viaggio emotivo e fisico che l’ha portata a confrontarsi con i propri limiti, le proprie paure e i propri traumi.
L’idea, come spesso accade nelle storie più belle, nasce da un incontro casuale. Durante un massaggio shiatsu, la massaggiatrice Su-Man Hsu le chiede: “Vuoi danzare?”. Un “sì” impulsivo, quasi inconsapevole, che la porta a conoscere il coreografo britannico Akram Khan. Nasce così una collaborazione intensa e complessa, un duetto artistico che sfocerà nello spettacolo “In-I In Motion”, portato in scena per ben 100 repliche in tutto il mondo. Ma cosa si cela dietro questo successo? Il film di Binoche ce lo svela senza filtri.
Non aspettatevi una romantica commedia. “In-I In Motion” è un pugno nello stomaco, un racconto crudo e onesto delle difficoltà, delle frustrazioni e dei momenti di sconforto che hanno accompagnato la creazione dello spettacolo. Binoche si mette a nudo, mostrando la sua vulnerabilità, la sua fatica fisica, il suo costante mettersi in gioco. “Ci sono momenti in cui ti senti completamente perso, il tuo corpo non è pronto”, confessa l’attrice. Un’esperienza al limite del baratro, come essere “sul bordo di una scogliera con un vuoto immenso davanti e dietro. Devi solo saltare, e farlo regolarmente”.
E poi c’è il lavoro di regia, altrettanto estenuante. Trasformare 170 ore di girato in un film coerente, ottenere i diritti musicali per le innumerevoli prove, dare forma a un materiale astratto e complesso: una sfida che ha messo a dura prova anche la tenacia di Juliette Binoche. “A volte ero felice, altre disperata. Pensavo che non sarei mai riuscita a finirlo”, racconta. Un percorso a ostacoli, iniziato con un suggerimento di Robert Redford (“Devi filmare questo pezzo!”) e concluso grazie alla perseveranza e al supporto di un piccolo team di produzione. Il primo montaggio? Nove ore. Da lì, un lungo e paziente lavoro di cesello per arrivare alla versione finale.
“In-I In Motion” non è solo la storia di uno spettacolo di danza, ma un’indagine sulla natura stessa della creazione artistica, un viaggio nell’universo interiore di un’artista che non ha paura di esplorare i propri limiti. Un film che ci ricorda il potere trasformativo dell’arte, la sua capacità di metterci a nudo, di farci crescere, di farci sentire vivi. E che ci lascia con una domanda: fino a che punto siamo disposti a spingerci per realizzare i nostri sogni?