Lo scorso giovedì è arrivato nella sale Downton Abbey – Il Gran Finale, capitolo conclusivo di una storia che parte come serie tv di successo e chiude il tutto con ben tre film.

Un period drama che ha tenuto incollati allo schermo milioni di spettatori, che hanno vissuto a pieno le vicende della famiglia Crawley e della famiglia Grantham, gioendo con i personaggi per i loro successi e piangendo con loro durante le tragedie.

La vera domanda da porsi è: andare a vedere questo film in sala vale la pena? La risposta da fan sarebbe “Assolutamente sì!”, mentre quella che analizza il tutto con un occhio leggermente più critico è “Sì, anche se alcune cose potevano essere gestite meglio”. Leggendo la recensione cercherò di farle capire meglio, e contemporaneamente cercherò di fare meno spoiler possibili, per evitare di rovinare la visione a qualcuno. Tuttavia, per non sbagliare, tornate qui a leggere tutto dopo aver visto il film, per sicurezza.

Il divorzio, (ora non più) onta del secolo scorso

Downton Abbey – Il Gran Finale si apre più o meno dove ci eravamo lasciati con Downton Abbey – Una Nuova Era. Per la famiglia Grantham/Crawley sta finendo la stagione londinese ed è tempo di ritornare a casa. A complicare la situazione ci pensa tuttavia la vita sentimentale di Mary, che come si apprende dai primi minuti è ora ufficialmente divorziata da Henry Talbot. Una situazione che sconvolge la vita sua e della sua famiglia nell’alta società, portandola ad essere emarginata e mal vista da tutti.

Se il divorzio è ormai una pratica ben consolidata nella nostra società di certo non lo era negli anni ’30, e ancora meno poteva esserlo per la nobiltà. In questo contesto lo spettatore si sente sì parte dello scandalo, ma vede anche le cose da una diversa prospettiva. Un tipo di visione che viene avvalorata dall’arrivo del lato americano della famiglia: Harlod Levinson, fratello di Cora, arriva a Londra accompagnato dal misterioso Gus Sambrook, per discutere dell’eredità della loro madre, morta, a quanto si dice, a poca distanza da Lady Violet.

Non ci vuole molto a capire che Sambrook non ha intenzioni benevole, e non soltanto per il modo in cui fa ubriacare Mary per passarci la notte insieme. Il suo lato rientra forse tra le criticità del film, che si sarebbero potute trattare diversamente. La doppia visione che viene invece data al tema del divorzio aiuta lo spettatore a sentirsi più in linea durante la visione. Gli americani, come poi verrà anche confermato dalla presenza degli attori Guy Dexter e Noël Coward, non considerano la separazione come un tabù, dimostrandosi mentalmente più avanti e più aperti degli inglesi, che solo a fine film arrivano ad accettare la nuova situazione di Mary. O, per lo meno, sarà accettato dalla maggior parte di loro.

Quel passaggio di testimone tanto atteso

Altro punto importante per la trama di Downton Abbey – Il Gran Finale è il passaggio di proprietà della tenuta. Se ne è parlato fin dalla prima puntata di chi avrebbe dovuto ereditare il tutto, e in definitiva Lord Grantham decide di affidare Downton Abbey nelle mani di Mary. Un punto di svolta per la nobiltà inglese, e una scelta che a questo punto acquisisce ancora più valore: Mary, madre di due figli e senza marito, eredita la fortuna di famiglia e la porta avanti con determinazione e consapevolezza. Potrebbe tranquillamente essere un’immagine femminista ante litteram: non serve un uomo per sentirsi realizzati quando hai intorno una famiglia che ti sostiene e ti vuole bene.

Il passaggio effettivo non è tuttavia privo di conflitti, resi palesi in questo film più ancora che nei precedenti. È interessante assistere al passaggio generazionale tra una nobiltà di matrice fine ottocentesca e quella degli anni ’30 del ‘900, e poco importa se questo tropo l’abbiamo già visto declinato più e più volte, nella serie come nei film: stavolta ha un gusto diverso, perché ci si rende conto che è effettivamente arrivato il momento. Un conto è parlare di un evento in attesa che accada, un altro è vederlo effettivamente accadere.

Fino a Downton Abbey – Il Gran Finale, Robert ha sempre pensato di essere pronto a farsi da parte, ma nei fatti non era così. Nessuno è davvero disposto a cedere il proprio potere, anche se si è consapevoli che ormai è arrivato il momento. Riuscire ad avere la giusta consapevolezza e a fare un passo indietro è sia un gesto necessario che coraggioso, e forse anche per questo le scene finali e quel saluto che Cora e Robert danno a Downton Abbey sa di chiusura definitiva e fa scappare la lacrimuccia.

La vera fine di un’era

Se il titolo del film è Downton Abbey – Il Gran Finale un motivo ci sarà. Con queste ultime due ore si è chiuso il cerchio su una storia iniziata nei primi del ‘900 e finita nel 1930. Starà poi allo spettatore, con le sue conoscenze storiche, immaginare quale sarà il futuro dei personaggi. Quello che è certo è che nelle scene finali c’è tutto l’amore e l’affetto per quei personaggi che ci hanno accompagnato per anni.

Vedere i coniugi Grantham spostarsi nella casa che fu di Lady Violet, per quanto sembri giusto e al contempo doveroso nei confronti di Mary, non può non far inumidire gli occhi, perché a suo modo ci dimostra che la vita continua, che il tempo scorre e che non c’è modo di fermarlo. O ci si evolve e lo si segue, o si rimane ancorati a qualcosa di ormai desueto. E in Downton Abbey questo l’hanno capito, tant’è che tutti, a modo loro, si sono evoluti.

Personalmente però devo confessare che le mie lacrime sono iniziate con i saluti a quei personaggi che non ci sono più. Prima con alcune scene di Matthew Crawley prese direttamente dalla prima stagione, poi con lo sguardo di Lady Violet verso Mary e, in ultimo, con una Sybil che lascia la sala, congedando definitivamente lo spettatore. Non è mancato ovviamente il ricordo a Maggie Smith, la cui mancanza in questo film si è sentita prepotentemente.

Si poteva fare di meglio

Come anticipavo, anche se Downton Abbey – Il Gran Finale è la perfetta chiusura di un cerchio, ci sono stati degli aspetti che avrebbero potuto essere gestiti diversamente. A cominciare da uno degli “antagonisti”, per così dire, della storia. Gus Sambrook, che cura le finanze di Harold Levinson, risulta sospetto fin dal primo momento in cui compare in scena, e il suo circuire Mary è solo uno dei piccoli aspetti del suo carattere viscido.

Tuttavia la sua storyline, per quanto cruciale nello svolgimento della vicenda, viene approfondita molto poco e ha una risoluzione breve e veloce. Quando nel corso di un evento viene comunicato a Tom Branson che Sambrook è un truffatore, la famiglia Grantham si muove con estrema rapidità: Edith lo raggiunge, gli dice che conoscono il suo segreto e che se ne deve andare prima che lo distruggano. Poco dopo, Sambrook prende armi e bagagli e se ne va. Nessuna giustizia, nessun’azione eclatante. Anche il suo ricatto a Mary sul rivelare della loro notte insieme se non lo appoggia cade nel vuoto dopo le due brevi chiacchiere con Edith.

È vero che Downton Abbey non è una serie da grandi intrighi, ma forse nella risoluzione di questo aspetto mi sarei aspettata qualcosa di più forte e più plateale. Anche la presenza di Tom Branson sembra essere meno rilevante rispetto al passato. Tra la scoperta dell’identità di Sambrook e il suo far ragionare Robert sulle capacità di Mary nel portare avanti la tenuta, sembra quasi che sia stato inserito come un deus ex machina, risolutore di problemi all’occorrenza quando la trama lo richiede.

Se si lasciano da parte questi due aspetti e ci si immerge a pieno nella storia, tuttavia, Downton Abbey – Il Gran Finale è un film ben fatto, coinvolgente e in grado di emozionare tutti i fan che in questi anni hanno vissuto alla tenuta, anche se solo di riflesso.

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