La laguna scintillava di riflessi, il Lido respirava cinema e mondanità, quando una piccola imbarcazione ha scelto di trasformarsi in palcoscenico. Non tappeti rossi, non flash abbaglianti: sulla lancia c’erano Anna Foglietta e Laika, l’attrice e la street artist, unite da un gesto che voleva essere semplice e potente. Una bandiera che sventola, un’opera che indica una rotta, un atto simbolico che parlava di pace e resistenza.
Eppure, poco prima dell’approdo all’Excelsior, quel quadro si è incrinato. Carabinieri e forze dell’ordine hanno interrotto la performance, fermando la barca, sequestrando bandiere e opera d’arte. La scena si è caricata di tensione: striscioni ammainati, attivisti fatti scendere, la laguna improvvisamente muta. Nel cuore di un festival che celebra la libertà creativa, l’arte è stata ammutolita.
Laika, autrice di murales che hanno attraversato confini, ha pronunciato parole che sono rimaste sospese nell’aria: “O si sta dalla parte degli oppressi, o si è complici. Anche il silenzio è complicità.” Foglietta, poco dopo, ha ribadito:
“L’arte oggi è un’azione pacifica e non violenta di sostegno alla Flotilla. Venezia è un palcoscenico importante per esprimere dissenso, per stare accanto al popolo palestinese.”
La polemica si è accesa immediatamente, dal mondo politico alle piazze digitali. C’è chi parla di intimidazione, chi di un gesto incomprensibile, chi ricorda che la libertà non si può sequestrare. Sullo sfondo, resta l’immagine della nuova opera di Laika: una donna palestinese che indica la rotta, una scia di colori che taglia il mare come un destino inevitabile.
Il cinema racconta storie che resistono al tempo, e questa giornata al Lido resterà impressa come una sequenza sospesa tra arte e censura, tra sogno e realtà. Perché il rosso che illumina Venezia non è solo quello dei tappeti o delle luci: è anche quello delle bandiere ammainate, delle passioni taciute, dei gesti che avrebbero voluto raccontare una verità più grande.