Nel cuore pulsante della Laguna, dove il cinema diventa specchio del tempo e delle sue ombre, è arrivato un film che ha il peso di un sussurro che può diventare tempesta: Il mago del Cremlino.

Un film che non urla, ma lascia senza fiato.

Un’opera che affonda lo sguardo negli abissi del potere e lo fa attraverso un volto inatteso, trasformato, quasi irriconoscibile: Jude Law, che si cala nei panni — e nei silenzi — di un giovane Vladimir Putin.

E proprio come in una tragedia shakespeariana, il potere non è mai solo potere. È maschera, è strategia, è illusione. E a raccontarcelo è il cinema, ancora una volta.

La trama: tra teatro politico e magia nera dell’informazione

Liberamente ispirato al romanzo di Giuliano da Empoli, Il mago del Cremlino è il ritratto gelido e magnetico di un mondo dove il vero è solo ciò che si riesce a far credere.

La storia è narrata attraverso Vadim Baranov, interpretato da un glaciale Paul Dano: ex regista teatrale, diventato architetto del potere putiniano, burattinaio dell’informazione, autore invisibile della realtà.

Putin è lì, ai margini e al centro di tutto. Un personaggio costruito più con gli sguardi che con le parole. Una figura che Jude Law incarna con inquietante eleganza, aiutato da protesi sceniche, gesti controllati, labbra serrate e occhi come lame.

Il film attraversa gli anni ’90 post-sovietici e si spinge fino al 2014, tra rivoluzioni soffocate e ascese studiate al millimetro. Girato in Lettonia — lontano dalla censura russa — è un dramma sospeso, pieno di fumo, stanze chiuse e verità costruite.

Davanti ai microfoni del Lido, Jude Law non alza mai la voce. Ma ogni parola è una fiamma.

“Non ho avuto paura, spero non per ingenuità. Ma sapevo che questa storia sarebbe stata raccontata con intelligenza, con rispetto. Non cercavamo la polemica. Volevamo solo entrare nei meccanismi del potere, nei silenzi di chi lo detiene.”

Poi aggiunge, quasi in un bisbiglio:

Putin, nel nostro film, è una figura dentro una storia più grande. È il volto di qualcosa. E interpretarlo è stato come scalare l’Everest. Mi sono chiesto: cosa ho fatto? Ma ho capito che il vero compito non era giudicare… era osservare.”

Osservare. Come fa il cinema. Come fa la Storia, quando guarda negli occhi chi la cambia.

Il mago del Cremlino non è un film di propaganda, né un atto d’accusa. È un rituale narrativo. Un viaggio dentro le stanze dove si costruisce il potere moderno, fatto di frasi dosate, immagini create, popoli ipnotizzati.

La regia di Olivier Assayas è ipnotica, la prova di Jude Law è disturbante e sottile, come una lama che non affonda, ma segna.

E mentre i flash dei fotografi illuminano la passerella, resta solo una domanda nell’aria veneziana:

Chi è davvero il burattinaio? E chi il burattino?

Di Martina Bernardo

Vengo da un galassia lontana lontana... Appassionata di cinema e serie tv anche nella vita precedente e devota ai Musical