Cambia la lingua, cambiano i volti, ma l’urgenza resta la stessa.

Dal 14 settembre anche la Spagna si prepara a lasciarsi travolgere da un’onda emotiva che in Italia ha già fatto storia: si chiama “Mar Afuera”, ed è il remake ufficiale iberico di “Mare Fuori”, la serie dei record firmata Rai Fiction e Picomedia, capace di trasformare una storia ambientata in un carcere minorile di Napoli in un culto pop, musicale e generazionale.

Un successo che in Italia ha riscritto le regole della serialità, restituendo voce e dignità a un’umanità troppo spesso ignorata: quella dei ragazzi “dentro”, colpevoli sì, ma anche fragili, feriti, amanti. Ragazzi che sbagliano e sognano allo stesso tempo.

Ragazzi che, prima ancora delle sbarre, hanno conosciuto l’abbandono.

Con sei stagioni, un film spin-off in arrivo (“Io sono Rosa Ricci”), una colonna sonora che ha invaso TikTok e una fanbase trasversale, Mare Fuori è diventato molto più di una fiction. È diventato una voce. Una canzone. Una poesia scritta sui muri delle celle.

Da Napoli ad Alicante: il carcere minorile con vista mare

“Mar Afuera” non è solo un adattamento: è una trasposizione culturale.

Ambientata ad Alicante, in un centro di detenzione minorile chiamato CIMI, la serie mantiene il cuore tematico del prodotto originale ma lo cala nella realtà spagnola, tra le tensioni sociali della Comunità Valenciana e la nuova marginalità giovanile europea.

I protagonisti sono Álvaro (Gabriel Guevara) e Carlos (Hugo Welzel), due ragazzi appena arrivati nel carcere, dove dovranno affrontare la dura legge della sopravvivenza contro la banda dei Pajaritos, ma anche scoprire una forma di solidarietà imprevista.

Ad accoglierli, infatti, c’è Saray (Laura Simón), una giovane detenuta che preferisce restare dentro piuttosto che tornare a una vita che l’ha sempre tradita. Una figura che richiama fortemente la Naditza italiana: ribelle, libera, musicale.

Le corrispondenze emotive con l’edizione italiana

Chi ha amato Mare Fuori troverà in Mar Afuera una nuova risonanza.

Álvaro, come Filippo (il “Chiattillo” di Nicolas Maupas), arriva da una realtà borghese e si ritrova catapultato in un mondo che non gli appartiene.

Carlos, come Carmine di Salvo (interpretato da Massimiliano Caiazzo), ha una storia familiare dolorosa e uno sguardo che chiede redenzione.

Saray, come Naditza, è anima e resistenza, è il filo che lega la libertà alla musica.

Il cast corale è composto da Miguel Barraga, Nekane Otxoa, La Imén, Dani Marrero, Pablo Louazel, Jan Bonet e molti altri giovani interpreti. Nei ruoli adulti troviamo Itziar Atienza, Carles Francino, Raúl Prieto e Boré Buika, a confermare l’ambizione e la qualità della produzione.

La regia è firmata da Norberto López Amado e Rómulo Aguillaume, mentre la sceneggiatura è nelle mani di Jelen Morales, Sara Cano, Paula Fabra e Natxo López.

Prodotta da Atresmedia e Beta Fiction Spain, la serie è composta da otto episodi, pronti a raccontare un altro volto del Mediterraneo.

Stessa rabbia. Stessa voglia di salvezza.

Il rischio, in operazioni come queste, è sempre lo stesso: perdere l’anima dell’originale.

Ma Mar Afuera sembra voler fare il contrario.

Non copia: interpreta. Non traduce: trasforma. Rende universali le emozioni nate a Napoli, mostrando che la marginalità, il dolore, la colpa e la speranza non hanno accento.

Il mare, da qualunque parte lo guardi, è sempre lo stesso: profondo, imprevedibile, capace di inghiottire e di salvare.

E i ragazzi, ovunque siano, continuano a cercare amore, riscatto, e qualcuno che creda in loro prima che sia troppo tardi.

L’attesa

“Mare Fuori” ci ha insegnato che anche dentro il buio può nascere una canzone.

“Mar Afuera” promette di suonare la stessa melodia.

Con nuove parole. Con un altro ritmo. Ma con la stessa voglia di cambiare il finale.

Di Martina Bernardo

Vengo da un galassia lontana lontana... Appassionata di cinema e serie tv anche nella vita precedente e devota ai Musical