Preparatevi a varcare la soglia di un universo dove ogni emozione è amplificata, ogni scelta pesa come un pianeta, e gli eroi non sono più solo simboli, ma esseri umani messi alla prova dal destino.

“I Fantastici 4: gli inizi” non è solo un film. È un tuffo audace in acque sconosciute, un urlo silenzioso che ci trascina a fondo nella meraviglia, nel pericolo, nell’amore e nel sacrificio. Come il recente “Superman”, ci immerge senza preamboli: la prima inquadratura ci toglie il respiro e non ci restituisce nemmeno le istruzioni per nuotare. Eppure, noi galleggiamo—perché ci afferriamo disperatamente alla promessa di qualcosa di più grande.

Il film ci regala un’introduzione fulminea, un piccolo gioiello narrativo che racchiude il destino di quattro anime trasformate dalle radiazioni cosmiche: Reed Richards (Pedro Pascal), l’uomo elastico e razionale; la magnetica Sue Storm (Vanessa Kirby), invisibile solo nel corpo, mai nel cuore; Johnny Storm (Joseph Quinn), la fiamma giovane e impulsiva; e Ben Grimm (Ebon Moss-Bachrach), il gigante di pietra che porta la dolcezza nel peso dei suoi passi. Uniti non solo dalla scienza, ma da un’amicizia che si fonde nell’ardente desiderio di salvare il mondo.

E il mondo che abitano? È un caleidoscopio di memorie e sogni. Brilla, seduce, confonde. È Terra 828—non la nostra, ma forse quella che avremmo voluto. Qui, tutto è familiare e alieno insieme: dai televisori squadrati ai robot maggiordomi, dalla Pan Am alle insegne di film immaginari. Il design scenico è una sinfonia visiva, un amore dichiarato alla fantascienza rétro che vibra ad ogni fotogramma.

Ma il cuore del racconto pulsa più forte quando Sue comunica a Reed di essere incinta. Un momento sacro, fragile, potente. E proprio lì, nell’attimo in cui la speranza nasce, arriva il devastante Silver Surfer, annunciando la fame inarrestabile di Galactus. Il dio cosmico non vuole distruggere la Terra—non subito. Vuole il figlio non ancora nato, una creatura innocente che porti in sé la sua stessa essenza, condannata all’eterna insaziabilità. È un dilemma antico quanto l’umanità: dare in sacrificio ciò che si ama per salvare il mondo.

Matt Shakman dirige con la precisione di un orologiaio e il cuore di un poeta. Viene dal teatro e dalla televisione, e si vede: ogni sguardo, ogni esitazione è carico di significato. Gli attori sono più di interpreti: sono esseri umani colti nel momento esatto in cui l’eroismo si tinge di dubbio, in cui la salvezza chiede un prezzo troppo alto.

Pedro Pascal porta in scena un Reed razionale ma profondamente spezzato. Vanessa Kirby è una Sue straziante: invisibile solo agli occhi di chi non sa ascoltare. Il loro legame è sincero, viscerale, e ci accompagna nel dolore mentre le opzioni si esauriscono e il tempo si stringe come una mano al collo.

Ben Grimm e Johnny Storm hanno meno spazio, ma non meno cuore. Quinn è brillante nel suo ardore ingenuo, mentre Moss-Bachrach ci regala una tenerezza malinconica nel suo gigante innamorato. Ogni scena che condivide con Rachel Rozman (Natasha Lyonne) è una carezza, un richiamo ai film che parlano d’amore e lotta silenziosa.

E no, “I Fantastici 4: gli inizi” non è una tragedia. È un’ode all’umanità dentro al mito. Non ucciderà il bambino, ma ci farà sentire il peso di quella possibilità fino all’ultimo respiro. Ci farà piangere, ma anche sperare. Ci farà guardare il cielo chiedendoci se davvero esiste un potere più grande dell’amore che proviamo per chi non è ancora nato. È un film che osa. Che vive. Che sente.

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