Superman può essere un circo a tre piste nel mondo dei supereroi, ma raggiunge la vera grazia ogni volta che restringe il suo focus su Lois e Clark.
Il Superman di James Gunn è arrivato. Non solo con il fragore dei suoi effetti visivi, ma con qualcosa di infinitamente più potente: emozione pura. Certo, i voli mozzafiato e le sequenze d’azione digitali sono spettacolari, ma ciò che davvero incanta è l’energia viscerale che esplode quando David Corenswet e Rachel Brosnahan si trovano insieme sullo schermo. È un’alchimia che trascende il cinema: uno scambio di sguardi, un sorriso, una scintilla—ogni gesto vibra d’anima.
Clark e Lois, in questa nuova incarnazione, non si limitano a interpretare ruoli. Vivono. Respirano. Sentono. Brosnahan scolpisce una Lane indomita, brillante, capace di farci credere con ogni battuta di essere una giornalista che tiene il mondo in pugno e custodisce i suoi Pulitzer come medaglie di guerra. E Superman? È vulnerabile, tenero, ironico. È umano, prima ancora che alieno.
Gunn ha capito che il vero potere di Superman non è la forza bruta o la capacità di volare, ma il suo sguardo limpido sull’umanità. E nel primo atto, tra le scrivanie e le frenetiche routine del Daily Planet, sentiamo il battito di un racconto che ci ricorda perché amiamo da quasi un secolo questi archetipi. La scena in cui Clark, con disarmante innocenza, risponde a Lois “Forse quello è punk rock?” dopo che lei lo ha definito un idealista incallito, è poesia pop. Un frammento che racchiude l’essenza di Superman.
Ma il film non può restare fermo lì. Deve correre, saltare ostacoli imposti dalle esigenze di universo condiviso, dalla logica aziendale. Ed eccolo che Gunn dispiega il suo arsenale narrativo: alieni colossali, metahumani in costume, guerre segrete e complotti politici. Eppure, anche nel caos, emerge la sua mano: ogni personaggio, ogni battaglia ha una risonanza emotiva. E sì, anche Krypto, il supercane, non è solo un colpo di marketing—è un piccolo miracolo peloso che strappa sorrisi e regala momenti sinceri.
E Lex Luthor? Nicholas Hoult lo dipinge con colori sinistri e inquietanti: non è solo l’antagonista. È il riflesso distorto del narcisismo moderno, ossessionato da un eroe che non può controllare né comprendere. Il suo piano è agghiacciante nella sua credibilità—un attacco ai simboli, ai valori, alla speranza.
Con tutte le sue trame intrecciate, Superman non si perde mai completamente. È disordinato, sì. Sovraffollato, certo. Ma Gunn infonde in ogni frame la passione che ha per questo mondo, e ci regala momenti di genuina bellezza. Le T-Spheres di Mr. Terrific, le musiche potenti che si arrendono con onore al tema immortale di John Williams, le frecciate ironiche tra Clark e Lois—tutto concorre a creare un universo dove la magia è viva.
La magia vera, però, è nella chimica perfetta tra i protagonisti. Per la prima volta da decenni, non stiamo guardando un attore che “interpreta” Superman. Stiamo guardando Superman. Punto. E Brosnahan? La miglior Lois che abbiamo mai avuto. Fiera, acuta, reale.
Gunn ha acceso una scintilla. E se saprà mantenerla viva, spogliandosi un po’ delle distrazioni del grande meccanismo, potremmo trovarci di fronte alla rinascita del mito. Non solo un film. Ma una dichiarazione d’amore al supereroe che ci ha insegnato a guardare il cielo e a credere che si può volare.