Sono passati cinque lunghissimi anni dal primo capitolo e, quando finalmente arriva il sequel, lo fa con la delicatezza di un macigno: un fantasy‑action pasticciato che si chiude con un finale tanto assurdo da lasciare attoniti.
Ricordate l’estate del 2020? In piena claustrofobia da pandemia cercavamo qualunque finestra sul mondo. The Old Guard si impose come qualcosa di più del solito “mockbuster” Netflix: star carismatiche, location internazionali, la promessa di un franchise. E soprattutto quel tono sorprendentemente concreto che lo rese l’evasione perfetta di cui avevamo bisogno. Per qualche settimana non si parlò d’altro.
Poi, come spesso accade sulla piattaforma, è calato il silenzio. Visibilità lampo e oblio istantaneo. Il sequel era inevitabile, ma non indispensabile. Approvato nel 2021, girato nel 2022, smarrito in post‑produzione: servono altri tre anni prima che lo vediamo, e i segni della lunga agonia creativa si vedono tutti. Peggio ancora, ci costringe a rispolverare ricordi ormai sbiaditi—tanto che Netflix ha dovuto piazzare un video‑riassunto coi protagonisti pur di rinfrescarci la memoria.
E qui inizia il caos. La mitologia, tratta dai fumetti di Greg Rucka, si ingarbuglia in spiegoni che costringono a consultare Wikipedia a ogni scena. Possibile che un blockbuster estivo debba essere così faticoso da seguire?
Charlize Theron fa quello che può. È un faro in un mare tempestoso, ma perfino lei—che in Young Adult ci ha regalato uno dei ritratti più pungenti degli anni 2010—resta imbrigliata in dialoghi piatti e coreografie senza pathos. Andy ora è mortale (ricordate? neanche io, inizialmente), ma l’idea che possa davvero morire non genera tensione: le botte volano, l’emozione resta a terra.
Nel frattempo rientra in scena un’antica alleata (Ngô Thanh Vân) assetata di vendetta e fa squadra con un’immortale misantropa interpretata da Uma Thurman. Sulla carta sarebbe esplosivo, sullo schermo è un cameo annacquato. Thurman brilla per un paio di minuti e poi scompare dietro a un montaggio che corre come se qualcuno avesse messo il film in modalità “avanti veloce”.
La durata? Novantasette minuti scarsi (titoli di coda inclusi). Potrebbe sembrare un pregio nell’era dei film‑fiume, e invece è una corsa forsennata a chiudere tutto in fretta, sacrificando sviluppo e coerenza. Risultato: un sequel nato stanco, che dimentica ciò che aveva reso speciale l’originale. Con l’uscita di Gina Prince‑Bythewood e l’arrivo di Victoria Mahoney, le scene d’azione perdono nerbo; l’audace queer‑vibe del primo capitolo si riduce a un timido sfiorarsi di fronti. Quel bacio immortale che aveva fatto la storia? Evaporato. E la relazione tra Andy e l’ex partner, esplicitamente gay nei fumetti, si trasforma in un imbarazzato “compagni di lunga data”. Un colpo bassissimo proprio a ridosso del Pride.
Spreco di talento non solo per Theron, ma anche per Chiwetel Ejiofor, relegato a un angolo e, imperdonabile, per la Thurman, usata con il contagocce. L’epilogo poi è la beffa finale: tronca tutto su un gigantesco “continua… forse”. Nessuna conferma di un terzo film, ma un cliffhanger talmente plateale da offendere lo spettatore. Viene in mente il destino di Divergent, rimasta irrimediabilmente incompleta: un monito che qui rischia di ripetersi.
Occasione sprecata è dire poco. C’era la possibilità di elevare un concept potente, di dare nuova linfa a un franchise con potenziale incredibile. Invece The Old Guard 2 si limita a sventolare promesse non mantenute e a ricordarci che, nell’economia dell’attenzione di oggi, rapidità e semplicità sono vitali. Loro ci hanno messo troppi anni, e noi, tristemente, ce ne dimenticheremo in un weekend.