Nel panorama del cinema civile italiano, Il muro di gomma occupa un posto particolare.

Uscito nel 1991 e diretto da Marco Risi, il film è una delle prime, vere incursioni del grande schermo nel cuore oscuro di uno dei misteri più dolorosi della storia repubblicana: la strage di Ustica. Oggi, a 45 anni esatti da quella sera del 27 giugno 1980, in cui un DC-9 dell’Itavia scomparve dai radar per poi essere ritrovato spezzato in fondo al Tirreno, questa pellicola torna a parlare con forza, come un grido che non ha mai smesso di rimbombare nel silenzio delle istituzioni.

Il titolo – Il muro di gomma – è già una dichiarazione d’intenti. Non un semplice ostacolo, ma un’intera architettura del potere pensata per assorbire, deformare, respingere ogni tentativo di verità. Risi ci accompagna dentro questo labirinto di omissioni, depistaggi, silenzi e intimidazioni attraverso gli occhi del giornalista Rocco Ferrante (ispirato alla figura reale di Andrea Purgatori), un cronista che non si arrende davanti all’evidenza comoda della fatalità, e che giorno dopo giorno scava, interroga, infastidisce, insiste.

La forza del film non sta solo nella ricostruzione meticolosa dei fatti e delle indagini, ma nella sua capacità di rendere palpabile la frustrazione di chi cerca la verità in un paese che spesso sembra averla messa al bando. Ogni telefonata muta, ogni documento che sparisce, ogni portone che si chiude è una goccia nel mare amaro dell’impotenza. Eppure, Il muro di gomma non è un film arrendevole. È la cronaca di una resistenza solitaria ma tenace, un atto d’accusa che ha avuto il coraggio di parlare quando ancora in molti tacevano.

La regia di Risi è sobria, rigorosa, mai sensazionalista. Il film non urla, ma scava. Non specula, ma inchioda. L’interpretazione intensa di Corso Salani nei panni del giornalista protagonista restituisce l’umanità ferita ma determinata di chi, pur sapendo di lottare contro un Leviatano invisibile, sceglie di non voltarsi dall’altra parte. Attorno a lui, una Roma plumbea, quasi priva di volto, popolata da figure ambigue, generali reticenti, archivi impolverati e verità spezzate.

A distanza di 45 anni dal disastro e più di 30 dalla sua uscita, Il muro di gomma rimane un’opera attualissima. Perché quel muro – forse più sottile, ma ancora resistente – continua a esistere ogni volta che una verità scomoda viene archiviata, ogni volta che la memoria collettiva viene anestetizzata. Rivederlo oggi è non solo un dovere di coscienza, ma un modo per ricordare le 81 vittime di quella notte e tutti coloro che, come Ferrante, non hanno smesso di chiedere: chi ha abbattuto il DC-9? E perché ci impedite di saperlo?

In un’Italia dove il cinema civile è sempre più raro, Il muro di gomma resta un esempio potente di come l’arte possa farsi strumento d’indagine, di denuncia, di memoria. A quarantacinque anni da Ustica, questo film continua a battere contro quella parete invisibile. E ogni battito è un richiamo: non dimentichiamo.

Lascia un commento