Mel Brooks, l’inimitabile genio della comicità cinematografica, è tornato a far parlare di sé con un annuncio che ha fatto esplodere di entusiasmo tutti i fan della sua arte irriverente: nel 2027 uscirà il tanto atteso seguito di Spaceballs (Balle Spaziali), e Brooks stesso tornerà a vestire i panni – anzi, la tunica dorata – del saggio Yogurt.
La notizia, già di per sé clamorosa, diventa leggendaria se si considera che Mel Brooks, oggi 98enne, sarà il primo attore centenario (o quasi!) a recitare in un ruolo comico di primo piano in un film Hollywoodiano. Un evento storico e simbolico: l’uomo che ha insegnato al mondo a ridere dell’inverosimile, a giocare con le convenzioni dei generi cinematografici e a demolire ogni forma di pomposità, si appresta a tornare sullo schermo in grande stile, con la sua saggezza brillante e il suo umorismo senza tempo.
Brooks non è stato solo un regista e attore, ma un autentico architetto della comicità moderna. Il suo esordio alla regia, The Producers (1967), fu già un colpo di genio: raccontare un musical nazista per ridere dell’assurdità del male era qualcosa che nessuno aveva mai osato prima con tanta brillantezza. Vinse l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale, e gettò le basi per uno stile tutto suo, fatto di paradossi, nonsense, ironia metanarrativa e rottura sistematica della quarta parete. Negli anni ’70 Brooks fu inarrestabile: Mezzogiorno e mezzo di fuoco (1974) prese il western, lo capovolse, e nel farlo sbeffeggiò razzismo, cliché di Hollywood e ipocrisie dell’America profonda. Lo stesso anno uscì Frankenstein Junior, considerato da molti – me incluso – una delle commedie più perfette mai scritte. Girato in bianco e nero, con un amore filologico per l’horror classico e una sceneggiatura scritta insieme a Gene Wilder, è un manuale di comicità visiva, ritmica e linguistica, capace di resistere a qualsiasi epoca.
In ogni suo film, Brooks ha inserito qualcosa di sé: la sua origine ebraica, il suo passato da autore televisivo, il suo spirito newyorkese, la sua vena anarchica. Alta tensione (1977) è la sua lettera d’amore ad Alfred Hitchcock, piena di citazioni e gag raffinate; La pazza storia del mondo (1981) è una cavalcata attraverso i secoli vista con occhi comicamente blasfemi; Robin Hood – Un uomo in calzamaglia (1993) ridicolizza la Hollywood pomposa degli anni ’90 e i blockbuster pseudo-epici. E come dimenticare Dracula – Morto e contento (1995), in cui fa il verso al gotico con Leslie Nielsen in stato di grazia? Brooks ha sempre saputo circondarsi di attori straordinari, da Madeline Kahn a Dom DeLuise, da Gene Wilder a Harvey Korman fino a Marty Feldman, valorizzando la comicità fisica e verbale come nessuno. Eppure, nonostante la sua carriera sia disseminata di risate, premi (tra cui un Oscar, un Emmy, un Tony e un Grammy, conquistando così l’ambitissimo status di EGOT) e successi, Mel Brooks non si è mai seduto sugli allori. Ha portato The Producers a Broadway con un musical premiatissimo, ha doppiato personaggi in film d’animazione fino agli anni Duemiladieci, e ha persino partecipato con entusiasmo al revival di La pazza storia del mondo 2 nel 2023.
Il fatto che oggi, a quasi un secolo di vita, sia ancora in grado di entusiasmare milioni di spettatori e di rimettersi in gioco con un nuovo capitolo di Spaceballs dimostra che il vero talento non invecchia: si rinnova, si evolve, ma resta fedele a sé stesso. Mel Brooks non ha solo fatto ridere: ha insegnato come si ride, perché si ride, e soprattutto contro chi vale la pena ridere. La sua eredità è incalcolabile, la sua influenza sconfinata. E ora, pronto a tornare nei panni di Yogurt, non fa altro che confermare ciò che i suoi fan sanno da sempre: Mel Brooks è eterno.
