Un esperimento genetico alieno, progettato come super arma, fugge sulla Terra e stringe amicizia con una ragazza hawaiana solitaria di nome Lilo (Maia Kealoha).

Solo pochi anni fa, quando si valutavano nuovi progetti, i team Pixar e Disney si chiedevano: “Perché questa storia deve essere raccontata in un film d’animazione?” L’idea era che questa forma d’arte dovesse essere utilizzata solo per raccontare storie che richiedevano di essere animate. Questa domanda è forse meno necessaria in quest’era dominata dagli effetti speciali. Ma forse è giunto il momento di ribaltarla: questa storia deve essere raccontata con attori in carne e ossa? Alcuni remake recenti non possono fare a meno di sembrare uno sforzo minore, e questo è purtroppo il caso di Lilo & Stitch.


Questo nonostante i notevoli sforzi del regista Dean “Marcel The Shell With Shoes On” Fleischer Camp e del suo cast e della sua troupe. Non è che abbiano fatto un cattivo lavoro o che abbiano avuto troppo poco rispetto per l’originale; semmai è proprio il contrario. Questo film divertente e dolce sembra ancora una pallida imitazione del suo predecessore baciato dal sole perché è letteralmente quello che è: una versione realistica dell’originale dai colori pastello e primari. Hanno eliminato alcuni personaggi secondari e, intelligentemente, hanno enfatizzato il rapporto tra le sorelle per sfruttare al massimo gli attori dal vivo, ma si tratta più di un riordino dei mobili che di una ristrutturazione della casa.


La trama è rimasta sostanzialmente invariata nei suoi punti salienti.
Maia Kealoha è eccellente nel ruolo della giovane Lilo, così come Sydney Elizebeth Agudong in quello di sua sorella Nani, che grazie alla sua grande capacità narrativa diventa il collante emotivo dell’intero film. Capace e intelligente, Nani ha messo in pausa la propria vita per cercare di prendersi cura della sorella dopo la morte dei genitori, ma anche lei sta crollando e nemmeno un’assistente sociale comprensiva (Tia Carrere, una delle star originali che torna in un nuovo ruolo) riesce a fare abbastanza per aiutarle. Poi arriva l’aggiunta caotica di Stitch, una versione pelosa e più dettagliata, ma non più coccolosa, del mostro originale di Chris Sanders (Sanders torna a doppiare Stitch ancora una volta). Seguono le solite buffonate aliene e un’intensa ricerca interiore da parte di tutti per capire qual è il loro posto nel mondo.

La storia, in altre parole, è sostanzialmente invariata nei suoi punti salienti, anche se ci sono alcune modifiche. Fleischer Camp ha ridotto le canzoni di Elvis per un film che punta di più sulla musica hawaiana e che, in effetti, sembra più radicato nella cultura hawaiana. Ma i momenti di grande emozione e di esposizione sono stranamente confusi nel montaggio, e il comportamento cattivo di Lilo è stato notevolmente ammorbidito: non morde più sua sorella, ma le lecca solo il braccio. Non è chiaro cosa ci sia dietro queste modifiche, se la preoccupazione per i bambini attori o le esigenze di avere un personaggio principale in CGI, ma anche con una ventina di minuti in più, il film non aggiunge tutte le risate o le emozioni che ci si aspetterebbe.

Non è male, non può esserlo: è troppo simile al film del 2002, uno dei migliori di sempre della Disney. Ma è ora di dare ai registi la libertà di sbizzarrirsi con questi remake e osare qualcosa di molto diverso, oppure smettere di farli.

Lascia un commento