La cosa peggiore di “Andor” della seconda stagione? E’ che è finita e non ci sara’ di piu’.
L’Impero di Star Wars è sempre stato un regime fascista, ma nessun film o serie TV ha mai rappresentato la sua tirannia in modo tanto efficace quanto Andor.
Nella sua prima stagione, la serie creata da Tony Gilroy ha svelato la fredda burocrazia che sostiene l’Impero, senza mai mostrare il Signore dei Sith a capo della piramide. L’attenzione era invece concentrata sui lacchè imperiali: funzionari dell’Ufficio di Sicurezza Imperiale come Dedra Meero (Denise Gough) e Syril Karn (Kyle Soller), o le guardie che gestivano il complesso carcerario di Narkina 5. Nessun potere mistico, nessuna spada laser: solo ingranaggi umani all’interno di una macchina spietata.
Questa impostazione si mantiene anche nella tanto attesa seconda stagione, che mette in luce nuovi strumenti di repressione dell’Impero. Sì, la Morte Nera è ormai in costruzione (come suggerito dalla scena post-credit della prima stagione), ma è la propaganda, i controlli a tappeto e l’oppressione sistematica dei pianeti a generare il vero terrore — più viscerale, più realistico, e quindi più inquietante.
Andor – Stagione 2 contrappone a questo orrore la speranza della Ribellione, ormai pienamente abbracciata da Cassian Andor (Diego Luna), che nella prima stagione era ancora riluttante. I fan sanno già come finirà il suo viaggio in Rogue One, così come conoscono l’esito della guerra. Ma sapere dove si va non rende il percorso meno teso o meno straziante. È proprio in questo che la serie riesce: raccontare non solo la trasformazione di Cassian, ma anche le scelte dolorose di chi gli ruota attorno — o, nel caso di Syril e Dedra, i loro tentativi ossessivi di fermare tutto ciò che la Ribellione rappresenta.
La seconda stagione si apre un anno dopo il finale della prima e quattro anni prima della Battaglia di Yavin. Cassian è ormai un agente operativo per Luthen Rael (Stellan Skarsgård), il carismatico leader ribelle. Intanto, i suoi amici di Ferrix — Bix (Adria Arjona), Brasso (Joplin Sibtain) e Wilmon (Muhannad Bhaier) — si nascondono come lavoratori sul pianeta agricolo Mina-Rau, cercando di sfuggire all’occhio dell’Impero.
Nel frattempo, l’Impero concentra la sua attenzione su un nuovo obiettivo: il pianeta Ghorman, che ospita una risorsa cruciale. Con un’estetica ispirata all’Europa tra le due guerre e una cellula ribelle che richiama la Resistenza francese, Ghorman incarna la filosofia realistica della serie: mondi credibili, vissuti, che raccontano storie vere pur essendo ambientati in una galassia lontana. Ghorman diventa un crocevia: per Dedra e Syril, che accedono a nuovi ruoli imperiali, e per Luthen e Cassian, alla ricerca di alleanze decisive. La domanda è sempre la stessa: chi prevarrà?
È simbolico che buona parte della stagione si svolga su Ghorman, noto per i suoi ragni che tessono ragnatele (i Ghorlectipodi). Come loro, i personaggi di Andor intrecciano reti di contatti, piani e alleanze che rischiano di spezzarsi da un momento all’altro. Mon Mothma (Genevieve O’Reilly) si ritrova a pagare un prezzo personale altissimo pur di sostenere la Ribellione: dare in sposa la figlia per ottenere fondi. Luthen e la sua assistente Kleya (Elizabeth Dulau) operano con crescente paranoia su Coruscant. Ogni filo è teso al limite, e la tensione esplode in scene degne del miglior thriller politico.
Se nella prima stagione Andor trovava la sua scintilla nel manifesto del giovane Karis Nemik (Alex Lawther) — “La tirannia richiede uno sforzo costante” — la seconda ne sviluppa il contrappunto: la ribellione richiede sacrifici incessanti. Come dice Luthen: “Brucio la mia vita per costruire un’alba che so che non vedrò mai”. Tutti i personaggi, chi più chi meno, sono costretti a rinunciare a qualcosa: relazioni, identità, persino alla propria umanità.
La nozione di “morte degna” diventa un tema ricorrente, quasi ossessivo. Ogni piccola vittoria è un colpo al cuore, un misto di gioia e lutto. E mentre il ricordo del sacrificio finale di Rogue One incombe, la serie ci porta a chiedere: quante volte può una persona morire, metaforicamente, prima di farlo davvero?
Cassian trascorre gran parte della stagione interrogandosi sul proprio ruolo. Ha già dato tanto. Può davvero dare ancora? Certo, sappiamo che non si tirerà indietro — il prequel lo impone — ma Diego Luna riesce comunque a rendere credibile il suo tormento. L’unica pecca, forse, è che alcuni personaggi (soprattutto Bix) sembrano relegati a semplici funzioni narrative: ripetere a Cassian che la Ribellione ha bisogno di lui.
Nonostante ciò, Andor rimane uno show corale. E sono proprio i comprimari a rubare la scena: le trame di potere di Mon Mothma, l’inquietante diplomazia di Luthen e Kleya, e persino un’improbabile ma brillante parentesi domestica (niente spoiler!) che aggiunge leggerezza senza spezzare il tono. Il trauma di Bix, purtroppo, viene risolto con troppa rapidità, perdendo l’opportunità di esplorare più a fondo le cicatrici lasciate dalla tortura.
Conclusione
Andor – Stagione 2 è una serie che non ha paura di guardare in faccia ad una tirannia e di chiedere al suo pubblico: “Tu cosa saresti disposto a perdere per opporlo?” Non ci sono Jedi, non ci sono duelli spettacolari, ma ci sono ideali, paura, coraggio e compromessi. E forse, proprio per questo, è il racconto più adulto e necessario dell’universo Star Wars.
Come detto nelle prime impressioni è un peccato non aver gustato tutte le cinque stagioni annunciate. L’aver concentrato quattro stagioni in una da più di una impressione che non ci hanno raccontato tutto quello che aveva in mente a Tony Gilroy ma comunque ogni arco narrativo è completo e ben scritto e non lascia niente in sospeso ma resta il rammarico di non averlo visto in forma completa.
Andor è davvero una serie molto ma molto ben fatta in tutto e per tutto e, ripeto, merita assolutamente di essere vista!
